Resetta password

Ricerca Avanzata
Risultati di ricerca

PESCA: Bolentino invernale e luvari

Pubblicato da 23 Febbraio 2017 da admin

This article is also available in: enEnglishdeDeutschfrFrançaisnlNederlands

Bolentino invernale e luvari costituiscono, per chi pesca in mare dalla barca, un binomio inscindibile.

Questo pesce infatti, chiamato Luvaro in Campania, fragolino nel Lazio e parago o pagello in Toscana (mi si perdoni l’ignoranza circa altre eventuali denominazioni regionali), rappresenta l’autentica croce e delizia dei pescatori a bolentino.

Per alcuni diventa addirittura una specie di malattia, una vera e propria “febbre rosa”, tanto da praticare soltanto questo tipo di pesca.

Il parago o fragolino viene pescato a bolentino prevalentemente nel periodo che va dall’autunno fino a primavera, su fondali fangosi o misti tra i venti e gli ottanta metri.

L’esca più classica è il gamberetto, di paranza o anche di canale, preferibilmente vivo, ma anche vermi come l’americano e il muriddu garantiscono un sicuro gradimento.

Esche ottime, ma meno utilizzate per problemi di reperibilità, sono il cannolicchio e il paguro, da innescarsi rigorosamente vivi.

La pesca può essere effettuata a scarroccio o all’ancora.

PESCA ALL’ANCORA

Si pesca ancorati sulle secche o sulle cigliate, quando si ha fiducia nella bontà del posto scelto per la battuta.

Se si decide di pescare ancorati, diventa fondamentale l’uso dell’ecoscandaglio: individuata la caduta, si deve rimontare il vento di parecchie decine di metri, a seconda della profondità e dell’intensità del vento stesso, poi si cala l’ancora e si concede cima fino a ritrovare la caduta.

E’ buona regola cercare di pescare sul fango (o sulla sabbia), subito dopo la caduta stessa, soprattutto se questa è piuttosto netta. Se invece il fondo degrada progressivamente, si può provare, cedendo di volta in volta qualche metro di cima, a diverse profondità.

Anche pescare sul cappello della secca può essere teoricamente prestigioso, ma il rischio è quello di allamare pescetti di scoglio (perchie, sciarrani, donzelle, etc.) uno dietro l’altro, al posto degli agognati luvari.

In questi casi, comunque, ci sono pescatori di sicura esperienza che adottano il sistema di insistere nello stesso punto fino a diradare la popolazione di minutaglia presente in loco, nella speranza che, una volta fatti fuori tutti i pescetti perturbatori, si faccia vivo qualche cliente di taglia più rispettabile.

La verità è che non bisogna mai dare niente per scontato, perché ogni posto fa storia a sé, e solo dopo diversi tentativi, variando posizione, profondità, tecniche ed esche è possibile rendersi conto del modo migliore per pescarvi. (tralasciando altri particolari “insignificanti”, quali condizioni meteo, direzione ed intensità del vento, fase lunare, fase di marea, orario, presenza di correnti, maggiore o minore limpidezza dell’acqua, e chi più ne ha più ne metta).

PESCA A SCARROCCIO

La pesca a scarroccio, invece, è una tecnica di ricerca, molto praticata, che permette di battere, sospinti dal vento, ampi tratti di fondale. Lo scarroccio si adatta per questo alle zone di fondo a sabbia o fango, o anche miste, ma sostanzialmente uniformi, ossia senza significative variazioni di profondità.

Qui ad Ischia una zona frequentata è ad es. quella dei fondali antistanti Casamicciola e Ischia Porto, fino al canale tra Ischia Ponte e l’isolotto di Vivara.

Praticamente indispensabile, per la pesca a scarroccio, è l’utilizzo di un’ancora galleggiante, che limiti la velocità di spostamento del natante in tutti i casi in cui non vi sia calma di vento.

La pesca a scarroccio consente in genere, sui fondali sopra descritti, la cattura di un maggior numero di esemplari, ma penalizza sicuramente la taglia delle catture, in quanto gli esemplari più grossi (e sospettosi) non sempre abboccheranno ad un’esca in movimento.

Pescando a scarroccio, è bene non chiudere subito l’archetto del mulinello, quando il piombo arriva sul fondo, bensì concedere, col movimento della barca, almeno un’altra decina di metri di lenza. Questo aiuterà il piombo a rimanere correttamente in pesca.

Un valido espediente, nel bolentino a scarroccio, è quello di “pedagnare” prontamente il posto (per poterlo ritrovare a fine passata), in caso di abboccata, segnatamente quando la stessa sia multipla (ossia si verifichi in contemporanea su più canne), o meglio ancora quando dalle “zuccate” del pesce allamato ci si renda conto che si tratta di un soggetto di buona taglia.

E giacché ci siamo, volendo marcare il punto con un segnale, il consiglio è di farlo calando un filaccione, innescato e tenuto pronto proprio a questo scopo. In questo modo uniremo l’utile ad un eventuale dilettevole, in quanto avremo concrete probabilità, tornando successivamente sul pedagno, di trovarvi allamato qualche discreto esemplare.

Nicola

ATTREZZATURE E FINALI

Parliamo di attrezzature : canna e mulinello saranno quelli classici da basso/medio fondale, con particolare attenzione alla canna, che dovrà abbinare una buona sensibilità del cimino ad una portata fino a 150/200 gr. di piombo, che potrebbero essere necessari per una corretta pesca a scarroccio.

Sul mulinello è consigliabile utilizzare come madrelenza (dopo un eventuale riempitivo in nylon, a seconda della capienza della bobina), 50 o 100 metri di multifibre intorno allo 0.20 di diametro, al termine del quale aggiungeremo, con un nodo Allbright (o similare), altri 15 metri di monofilo in nylon dello 0.35.

Il multifibre (o Dyneema) ci garantirà sia una maggiore sensibilità alle tocche dei pesci (grazie alla sua inestensibilità), sia un minore attrito nell’acqua (dovuto al diametro ridotto), il che ci permetterà di utilizzare piombi di minor grammatura, incrementando così ulteriormente la sensibilità.

Gli ultimi 15 metri in nylon serviranno sia ad ammortizzare la rigidità del multifibre (quando e se avremo a che fare con clienti qualificati), sia a rendere meno visibile la parte finale della lenza (per la quale deve essere utilizzato un filo il più possibile dicroico, meglio se al fluorocarbonio).

Attenzione al nodo di giunzione tra multifibre e nylon, che dovrà essere eseguito a regola d’arte, per evitare che il nodo stesso provochi degli intoppi sulla bobina in fase di calata.

E veniamo al finale, sul quale ogni agguerrito pescatore a bolentino ha le sue teorie : c’è chi utilizza finali più o meno tradizionali a tre braccioli, dei quali il più basso situato sopra o sotto il piombo, chi a due, chi preferisce invece finali monoamo, magari con piombo scorrevole.

Qualunque sia la soluzione adottata, è certo che un’esigenza fondamentale è quella di evitare garbugli in fase di calata. A questo scopo esistono oggi in commercio diverse tipologie di accessori (fast connector, microagganci, anti-tangle, girelle a tre vie, perline forate, etc.) utilizzabili.

In realtà un valido terminale da bolentino può anche essere realizzato senza alcun accessorio, nel seguente modo : si taglia lo spezzone di filo da utilizzare e su questo si realizzano tre occhielli fissi di circa 30 cm. di diametro, semplicemente doppiando ogni volta il filo su se stesso ed eseguendo un doppio nodo semplice alla base della doppiatura, dopodiché non resta che tagliare ad un estremità dell’anello vicino al nodo, ed ecco pronti tre braccioli perpendicolari al trave, sui quali legare l’amo.

Nell’eseguire l’operazione, il principio fondamentale è quello di allestire dei braccioli più corti della distanza fra i medesimi sul trave, in modo che non vengano a contatto fra loro.

Altro accorgimento, non indispensabile, è quello di realizzare una treccina sulla prima parte del bracciolo, per renderlo più rigido e resistente alle sollecitazioni. Per fare questo è necessario lasciare qualche centimetro di filo anche sull’estremità dell’anello che si va a tagliare, in modo da poter intrecciare insieme i due spezzoni.

Per finire, si collega un’estremità alla lenza madre e all’altra si assicura il piombo, mediante una girella con moschettone. E’ importante, per un corretto assetto di pesca, che l’amo più basso venga a cadere esattamente alla base del piombo.

Quella appena descritta è una montatura particolarmente indicata per la pesca a scarroccio.

Immagine(27)

Sempre per questa tecnica, ecco un piccolo “trucco” : utilizzate un piombo a palla, montato come segue : fate passare dentro l’anello di  una girella un piccolo spezzone di circa 20/30 cm di monel (o altro filo di acciaio), poi introducete i due capi nei due fori del piombo, in modo che ogni capo entri da un foro ed esca dall’altro, lasciando fuoriuscire qualche centimetro.

Piegate i due capi in modo da bloccarli (ma non troppo, in modo da cedere in caso di incagli) sul piombo, e piegate il monel in modo da creare un triangolo più o meno isoscele, con il piombo infilato nella base.

In questo modo, quando collegherete il finale di lenza alla girella (meglio se con un’altra girella con moschettone), questa si andrà a posizionare all’angolo alto del triangolo, e voi avrete realizzato una montatura con piombo a girare, ossia con il piombo che, sulla trazione dello scarroccio, tenderà a rotolare sul fondale stesso invece che ad alzarsi, consentendovi una migliore visibilità di eventuali tocche sul cimino.

Per concludere il discorso sulle montature, vorrei proporre la mia preferita : avendo infatti constatato una certa tendenza dei luvari ad abboccare all’amo più basso, e non volendo ridurre le possibilità di cattura pescando con un solo amo, mi attrezzo normalmente come segue : preparo una montatura da fondo classica con piombo scorrevole sulla madrelenza, salvanodo e girella (meglio se tripla); alla girella annodo un finale piuttosto lungo, a circa due terzi del quale lego un primo amo

ad occhiello, poi al termine dell’eccedenza lego un altro amo (indifferentemente ad occhiello o a paletta).

In questo modo si può pescare con entrambi gli ami a contatto del fondo; è bene che non siano molto vicini, per cercare di evitare, come qualche volta mi è successo, che lo stesso pesce ingolli il primo amo e poi abbocchi anche al secondo.

Salvatore

CONCLUSIONI

A questo punto vorrei chiarire a chi legge, soprattutto se non è già un conoscitore di questo tipo di pesca, che il problema di fondo non è prendere i pesci : il problema è prendere quelli grossi.

Quando si sente parlare di “grandi pescate” bisognerebbe, per potersi rendere conto,  dare un’occhiata nel secchio del pescato : vi troveremmo quasi sempre la versione “luvarica” della strage degli innocenti.

Personalmente non trovo molto gratificante tirar su raffiche di luvari da un etto o ancor più piccoli (che poi non posso che restituire con la massima cura al mare), esaurendo rapidamente la mia scorta di vermi (per inciso più costosi del caviale).

Pertanto : come cercare di selezionare la taglia delle catture ?

E’ chiaro che la cosa più importante è la scelta del posto : se i pesci grossi non ci sono difficilmente ne prenderemo.

Chiarito questo requisito di base, la prima regola è di pescare ancorati : prenderemo meno pesci, ma daremo tempo e modo di abboccare anche ai più diffidenti.

Categoria: Mare e Pesca

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato